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10 novembre 2008

STUDENTI IN PROTESTA? La comodità del 68'

Noi non vogliamo spostare le lancette dell'orologio indietro fino al 67, ma riteniamo che il “sessantottismo”, cioè quel particolare modo di intendere la società e l'università nato nel ‘68, abbia prodotto, alla lunga, più danni che benefici. La mentalità del “18 politico”, la deresponsabilizzazione totale dello studente, l'annichilimento della meritocrazia: sono tutti effetti collaterali chiaramente derivanti da quella stagione. Effetti che hanno logorato pian piano, fino a demolirla, l'Università italiana. Hanno trasformato la nostra generazione nell'infanzia viziata dell'occidente, quella a cui tutto è dovuto, quella che pretende tutto e lo pretende subito: i sessantottini hanno oKKupato cattedre e giornali, hanno determinato il senso comune da tribune politiche e organi di informazione, hanno creato il mito della gioventù come categoria dello spirito condannando noi, giovani anagraficamente, ad un'eterna adolescenza. Il sessantottismo ha distrutto il ruolo di fucina della classe dirigente tipico delle Università, svuotandole della loro intrinseca energia culturale, ed ha trasformato gli Atenei in un parcheggio privo di dignità per le forze più sane del paese. L'errore più grave che la nostra generazione può commettere, la trappola più insidiosa in cui può cadere, è quella di ripetere, a quarant'anni di distanza, gli stessi slogan sessantottini, è farsi carico delle stesse parole d'ordine. Sarebbe un errore grave perché si tratterebbe di una battaglia conservatrice: l'Università italiana è già oggi come l'avevano immaginata nel 68! Purtroppo per noi…” da L’Occidentale – orientamento quotidiano

Non abbiamo finito di dire che di ’68 et similia ne abbiamo pieni i "cosiddetti" che, come il trillo di un orologio svizzero, ecco che il tormentone ci viene puntualmente riproposto. “Aria di sessantotto” è il ritornello trionfale che agita i giovani (alcuni giovani) nelle piazze: che bello, le coscienze si destano, i cuori tornano a vibrare, si ricaricano le pile dei megafoni, si rispolverano dai vecchi armadi le divise d’ordinanza. E non si parla d’altro. Evidentemente è una penitenza divina che dobbiamo pagare, non c’è niente da fare per evitarlo. L’unico modo, magari si potesse, sarebbe vietare nelle scuole ogni libro e ogni lettura relativa a quegli anni, una bella censura che riesca a cancellare per sempre quegli slogan e quelle parole d’ordine. Ma si tratta di utopia e l’accusa di censura regimentale è sempre dietro l’angolo… Eppure sarebbe davvero l’unica soluzione. Perché, ma basta, ci siamo stufati di urlarlo, noi per la nostra storia non siamo figli consapevoli, ma schiavi inermi quando non clienti pronti a metterci in fila di fronte alle prime convocazioni. La nostra storia è quella di uno studente brillante, nato all’inizio degli anni ’50. L’oratorio, poi il liceo, quindi il salto all’Università. Il nostro studentello diventa grande, matura ed è consapevole: tra un esame e l’altro riflette sul mondo che sta costruendo e su ciò che c’è intorno a lui. Sono in tanti a riflettere e l’esito è uno e uno solo: il mondo va cambiato. L’Università è vecchia, bigotta, va riformata. E allora il nostro studente si mobilita, studia, alza la testa di fronte a quelli che definisce i baroni universitari, irrompe nel sistema e lo sradica, lui come tanti altri che riempiono le piazze e occupano le università. Il nostro studente cambia il mondo, o almeno l’Italia: basta strapotere dei baronati, l’Università è degli studenti, la cultura è libera nell’anima e non vuole padri nè padroni. Gli anni dell’Università sono entusiasmanti, tra manifestazioni, assemblee, slogan che rimarranno nella storia e ottimi voti sul libretto. Poi arriva la laurea. Il nostro studente decide che l’Università gli piace a tal punto che vuole rimanerci e diventare un grande docente. Si sente bravo, sa che ce la farà. Solo che mentre studia da professore del futuro, si accorge che i baronati non sono stati sconfitti del tutto. Già, forse non si respira più nelle aule quel terribile clima di autoritarismo inflessibile, ma i baroni e i baronati ci sono ancora, eccome se ci sono. Ed è così che il nostro studente, dopo essere stato per qualche anno alle dipendenze del sopravvissuto barone di turno, decide che in fin dei conti i privilegi garantiti da quel titolo nobiliare non sono poi tanto male. L’importante è condirli con qualche libro sul ’68, ogni tanto, l’importante è prendere qualche posizione netta e intransigente, per esempio quando un Papa vuole invadere l’Università, l’importante è invitare qualche ex compagno di lotte di piazza in occasione di qualche bel convegno. Per il resto, la vita, anche quella accademica, va avanti senza scossoni. Il nostro studente assume dunque le sembianze del baronetto, quindi, quando i tempi sono maturi, del barone. E tutte le lotte che ha vissuto nella vita precedente? Mica sono da buttare, ci mancherebbe: tornano spesso utili, soprattutto quando a qualche ficcanaso viene in mente di discutere sui presunti privilegi dei docenti universitari. Ecco che in queste occasioni, il nostro studente ora barone, insieme ai suoi amici, parla di attacco al cuore dell’Università, ricorda a tutti quanto lui ha lottato per creare questa Università e invita gli studenti a mobilitarsi in sua difesa. Il nostro studente quindi è partito dal ’68 e torna al ’68, questa volta però in giacca e cravatta, dietro una bella scrivania in uno studio a causa del quale arriva spesso in ritardo di un quarto d’ora alle lezioni che deve tenere. E’ questa la differenza sostanziale tra il ’68 di ieri e quello presunto di oggi. Allora, nel bene e nel male, è stato un movimento spontaneo di studenti che desideravano un approccio più libero e consapevole alla cultura, e vedeva gli studenti contro i privilegi della classe docente. Dei risultati ottenuti non è questa la sede per discutere anche se la citazione che accompagna questo articolo ben rappresenta il mio giudizio. Quello presunto di oggi non è altro che la solita “clava” strumentale che qualcuno tira fuori per riconquistare spazi politici che non ci sono più. Il 68 del 2008 vede gli studenti difendere i privilegi e gli sprechi, ma che rivoluzione è? Serve invece un cambio di rotta. Uno strappo netto col passato. Un'affermazione rivoluzionaria: basta cialtronate, basta egualitarismo, basta pappe pronte! Basta sprechi, basta proteste telecomandate, basta professori incapaci! Vogliamo una rivoluzione nel nome del merito e della qualità!