Questo è un blog politico, ma non un sito di partito.
E' uno spazio di idee. Il mio.

Un modo per raccontarmi e un modo per ascoltare.
Un laboratorio per nuove sintesi, un'occasione di verifica continua..

18 gennaio 2012

BLEU MARINE

5 gennaio 2012

INVICTUS

Dal profondo della notte che mi avvolge
buia come il pozzo più profondo che va da un polo all’altro,
ringrazio gli dei chiunque essi siano
per l'indomabile anima mia.

Nella feroce morsa delle circostanze
non mi sono tirato indietro né ho gridato per l’angoscia.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
il mio capo è sanguinante, ma indomito.

Oltre questo luogo di collera e lacrime
incombe ma l’orrore delle ombre
e ancora la minaccia degli anni
mi trova, e mi troverà, senza paura.

Non importa quanto sia stretta la porta,
quanto piena di castighi la vita.
Son Io il signore del mio destino.
Son Io il capitano dell'anima mia.

WILLIAM ERNEST HENLEY

29 ottobre 2011

Putin e la Russia unica speranza dell'occidente...

Il ritorno del primo ministro Vladimir Putin – grande zar dell’energia – a candidato alla presidenza segna l’irrigidimento della posizione geostrategica della Russia nei confronti del disfacimento del capitalismo selvaggio e delle minacce di una nuova guerra mondiale da parte dei circuiti finanziari israelo-anglo-statunitensi.

Tale irrigidimento era prevedibile dopo gli innumerevoli affronti fatti contro la Russia e la Cina da parte di ciò che resta dell’”Occidente” economicamente paralizzato: la conquista del petrolio della Libia, l’installazione di un sistema di difesa missilistico NATO nell’”estero vicino” russo, la provocatoria vendita di armi degli Stati Uniti a Taiwan; le prossime guerre per il petrolio e il gas del statunitense Africom, come ha candidamente dichiarato Johnny Carson, Assistente Segretario di Stato.

La scandalosa campagna di disinformazione da parte dell’oligopolio mediatico israelo-anglo-statunitense (es. il duo Rothschild-Murdoch tramite Fox News e Sky News) escogita un racconto fantastico che parla di uno scontro tra il presidente uscente Medvedev e l’intrattabile Primo Ministro Putin, con i sentori di una guerra civile e una nuova balcanizzazione della Russia.

La campagna si spinge fino ad ostentare sfacciatamente la sua scelta: Medvedev, i “modernisti” e i filo-occidentali disposti ad aprire il succulento mercato petrolifero alle multinazionali della NATO, contro lo sciovinista e anacronistico Putin, una ex “spia” del KGB assetato di potere autocratico.

Ricorrere a tale grossolana caricatura delle relazioni delle forze interne della Russia e fedele ai suoi interessi petroliferi, le mendaci corporations mediatiche aziendalistiche hanno tentato di distorcere la realtà che oggi le esplode in faccia.

Nessuno sostiene che il tandem Putin-Medvedev (in questo ordine) sia inevitabile o che simbolizzi l’aquila russa a due teste, ma è innegabile che questo paese – una superpotenza nucleare geostrategica pari agli Stati Uniti, che miracolosamente nasce dalla malinconia geopolitica del 1991, quando Eltsin-Gorbaciov vi furono inghiottiti, ha fatto il suo ritorno fin dal 2000, grazie alla leadership di Putin.

E’ Putin che ha progettato la resurrezione geostrategica della Russia, grazie soprattutto al recupero delle sue riserve di idrocarburi. La grande nazione russa è perfettamente consapevole di questo. Se le loro reazioni furiose hanno una qualche indicazione, i circuiti finanziari della plutocrazia neoliberista oligarchica della Gran Bretagna, il cui massimo portavoce è la tripletta Financial Times/Economist/BBC (come ha riconosciuto Jeremy Browne, ministro del gabinetto Cameron), hanno reagito con veemenza contro il ritorno al potere di Putin, in quanto danneggia i loro interessi geopolitici in Eurasia.

Basti citare i più recenti titoli nichilisti di The Economist, che non s’è morsa la lingua dalla capitale di un paese che era stata appena data alle fiamme dai suoi giovani affamati e senza lavoro: “La Russia e il suo scontento“, “Il ritorno di Putin al Cremlino segna la fine di quattro anni di farsa. La vera questione è come rimarrà al potere.” “Il ritorno di Putin è un male per la Russia.” “Il circo delle elezioni russe.” “La Russia oggi è stagnante e senza speranza.” Mi limiterò a confutare l’ultimo titolo: Putin-Medvedev, la Russia è in forma assai meglio della decadente Gran Bretagna, in caduta libera.

Sono rimasto profondamente colpito dalla blanda (finora) reazione del New York Times, forse per via del perezagruzka (reset) delle relazioni USA-Russia e la sorprendente, anche se molto recente “alleanza affaristica” di un importante accordo geostrategico raggiungere tra Exxon-Mobil e Rosneft per l’esplorazione degli idrocarburi nella regione artica, che ha messo da parte la britannica BP – un presunto asset fisso della Rothschild Bank e leader dei predatori del Golfo del Messico – di concerto con la sua partner “perforatrice“: la criminale (letteralmente) Halliburton and Schlumberger.

Non è cosa da poco per la Exxon-Mobil esplorare il Mar di Kara (Artico), vicino alle coste russe. Alexander Rahr, esperto di Russia della German Foreign Policy Association (DGPA) di Berlino, ha detto al giornale tedesco Bildzeitung che “Putin è stata una buona cosa (sic) per la Russia.” Perciò, se è “cattivo” per la Gran Bretagna, è “buono” per la Germania?

Rahr ha commentato che il germanofilo Putin (parla un fluente tedesco) “vuole penetrare l’Occidente attraverso la Germania“, mentre “l’alternativa a Putin sarebbero i nazionalisti anti-occidentali”. Infatti, le “prospettive occidentali” per Gran Bretagna e Germania sono diametralmente opposte.

Il giorno prima dell’inaugurazione di un terzo mandato per Putin, il ministro della difesa russo Anatolij Serdjukov ha ospitato a Mosca Guo Boxiong, Vice Presidente della potente Commissione Militare Centrale del Partito comunista cinese.

Ancor più importante, dopo essere stato proclamato candidato alla presidenza, Putin ha annunciato un viaggio in Cina, per ampliare il potenziale geostrategico e per rafforzare le relazioni bilaterali.

Ciò che richiama l’attenzione è che Stratfor, il portale di disinformazione globale texano-israeliano, avrebbe riferito del ritorno di Putin con una mitezza eccessiva: “Una forte preoccupazione per l’influente istituzione dei servizi di sicurezza russi, è che Medvedev è considerato internazionalmente un capo debole (sic) rispetto al suo predecessore. Putin non è interessato (supersic!) alla presidenza, a meno che non sia necessario al fine di ripristinare la percezione di un Cremlino più assertivo“.

Se la “democrazia” è la quintessenza del potere popolare, allota Putin non aderisce solo alle regole della Costituzione russa ma, meglio ancora, è ancora più “popolare” dei suoi rivali “occidentali“, in un momento estremamente critico per il mondo, in cui i concetti idealistici della filosofia politica si stanno rapidamente erodendo.

Il premier russo vanta un massiccio sostegno pubblico all’80 per cento che, di sicuro, nessun leader della NATO può pretendere (che costantemente schiamazzano di suffragi universali per gli altri, ma non per se stessi), a partire dal sempre più vacuo Obama (ostaggio dei “13 banchieri di Wall Street“, Simon Johnson dixit), passando per Sarkozy (il “conquistatore del petrolio della Libia“, che fu orribilmente martoriato nelle elezioni senatoriali dal Partito socialista), e giù fino al pusillanime leader britannico David Cameron, che non sa dove nascondersi nel fuoco incrociato (letteralmente) urbanistico e finanziario del suo paese.

Mentre Obama, totalmente prigioniero e castrato dai bankster di Wall Street, partecipa alla distruzione del mondo – dal salvataggio dei banchieri insolventi, sempre arroganti, e non dei cittadini – Putin cerca di ristabilire l’equilibrio del mondo, andato perso durante la sfortunata fase dell’unipolarismo degli Stati Uniti, in armonia con la Cina (per estensione: BRICS tra cui il Sud Africa), per riorganizzare il mondo da una prospettiva multipolare.

Ci riuscirà?

18 agosto 2011

Scrigno prezioso

Ancora una volta, in queste afose giornate di Agosto, mi ritrovo difronte alla triste constatazione del difficilissimo e ingiusto contesto storico-sociale in cui la mia generazione si ritrova immersa, senza spazi professionali né culturali, senza la possibilità vera di esprimersi. La generazione dei padri ha non di rado trasferito la propria scontentezza ai figli, disincentivandoli e schiacciandone le speranze. In piena crisi della famiglia i ragazzi crescono senza rischi né pericoli, non sanno più affrontare i problemi, non vogliono rinunciare ai propri privilegi, continuando così a rendere gloria ad una società consumistica e materialista. La società propone modelli privi di meritocrazia: questo induce spesso i giovani volenterosi ad abbandonare l’irta strada del sacrificio, a cedere al “servilismo” e anche a rinunciare alla politica. Ed è questo che non riesco proprio ad accettare. In un momento di crisi come questo, l'impegno politico può e deve tornare ad essere uno degli “scrigni preziosi” in cui le nuove generazioni possono trovare un patrimonio di valori e principi sapientemente custoditi. E invece vedo giovani sempre più lontani dalla politica, possibile? I giovani rappresentano l’espressione più intensa dell’esistenza e proprio per questo dovrebbero essere i protagonisti per definizione della politica, perché essa ha una dimensione esistenziale indiscutibile. La partecipazione alla politica dovrebbe appartenere in prima istanza proprio alla gioventù e se questo non accade vuol dire che nella struttura di uno stato qualcosa non funziona, significa che chi fa politica si auto-isola e che gli esclusi sono privi degli strumenti per incidere nella vita sociale. Uno stato in cui i giovani sono soggetti disinteressarsi della politica è uno stato malato, uno stato che non funziona, uno stato che ha delle contraddizioni dentro di sé e il cui funzionamento è in gran parte compromesso...

3 agosto 2011

Intelletuali e politica...

La politica non è più concepita dall’intellettuale medio come uno strumento in grado di incidere sulla società, ma come un apparato di èlite che tende a difendere se stesso. Molti cercano allora spazio nel campo giornalistico o delle associazioni culturali e rifuggono dalla politica dei partiti, che, a loro volta, tendono ad esiliare i propri intellettuali e a far sì che ricoprano ruoli marginali: l’uomo di cultura è temuto perché non mira all’opportunismo di una scelta, ma alla sua legittimità. Sono anche convinto che il discorso di certi intellettuali che si disinteressano per questi motivi della politica sia un banale trasferimento di responsabilità che non accetto. Bisogna che le menti brillanti si occupino e tornino ad occuparsi di politica, rifiutando che qualcuno metta altri nella condizione di non occuparsene; bisogna rompere il gioco nelle mani di chi ha un vantaggio da questa situazione. E sono profondamente convinto che cultura e politica non debbano essere distinte, ma al contrario possono e devono integrarsi ed arricchirsi reciprocamente. Faccio mia la posizione di Prezzolini che rifiutava sia la cultura politicizzata che la politica acculturata, per prediligere una soluzione che mantiene queste due realtà tanto svincolate nei compiti quanto unite nel formare ed orientare le coscienze. Prezzolini condannava sia lo scarso interesse che la classe colta dedica alla politica, spesso limitato ad una critica preconcetta, sia la sua scarsa capacità di incidere sulla vita dei cittadini. Dalle pagine de «La Voce» sosteneva che «gli italiani colti, che [...] talvolta vedono più in là delle circostanze immediate, non solo non riusciranno ad imporre una direzione alla vita storica del loro paese, ma non sapranno nemmeno far ascoltare il loro consiglio e la loro voce». Una simile frattura ha come risultato che tanto la politica quanto la cultura si impoveriscono nella mutua segregazione, con conseguenti danni: «la politica, infatti, quando non vi aliti dentro lo spirito della nazione ricco di tutte quelle orientazioni ideali che si chiamano cultura, diventa una mediocre faccenda composta di piccole cose quotidiane - più vicina assai alla pratica minuta degli affari di un mercante che non alla complessità vasta e concitata della storia. E la cultura, segregata dalla politica, - e in generale dalla vita vissuta, immiserisce nella “letteratura”». La politica si svuota di ragioni ideali, mentre la cultura si confonde con la letteratura, perdendo la sua dimensione distintiva.

14 giugno 2011

Riflessione sulla politica...

Se non esiste un sistema universale di valori, l’uomo brancola nel buio: ogni decisione individuale assume valenza di giustizia e si è pronti anche ad avanzare leggi contro la vita, a tutelare i diritti degli animali e nello stesso tempo a sostenere l’aborto.
Purtroppo la politica con cui abbiamo a che fare è una politica basata più su principi utilitaristici individuali o di gruppo. E la mancanza di principi genera l'impressione quasi collettiva di una civiltà in degrado, di fronte alla quale è forte la tentazione della rinuncia e del distacco.
L'impegno politico deve essere qualificato e vissuto secondo la categoria tipica del servizio, con un'attenzione diligente e intelligente all'uomo, partendo da chi soffre maggiori disagi. Si può dire che compito di ogni impegno politico è quello di concorrere a realizzare una società nella quale ogni uomo possa vivere davvero nella pienezza della sua umanità. Un'autentica azione per il bene comune richiede inevitabilmente che si sia capaci di offrire una testimonianza d'impegno, eticamente credibile. Il disagio derivante dalla caduta dei valori è profondo: viviamo immersi nel relativismo etico che condiziona i nostri comportamenti. Le coscienze più vigili colgono nella decadenza le tracce di una barbarie dalla quale è sempre più difficile difendersi; il rifiuto del diritto naturale da parte di parlamenti e governi, che snatura l’identità dei popoli e delle nazioni all'insegna di quell’ideale moderno fondato sul principio dell’irresponsabilità soggettiva, è l’origine e la giustificazione del materialismo pratico. L’orizzonte spirituale e culturale è quindi segnato da una grande incertezza. Si ha come l’impressione che qualcosa debba accadere ma non si sa cosa. È evidente che sono venuti meno molti punti di riferimento perché il secolo scorso è riuscito a stravolgerli ed a distruggerli sia pure parzialmente. È necessario che siano i valori a guidare i mutamenti e non più gli apparati ideologici, è ai valori che si deve far riferimento per comprendere la complessità del presente.
La politica non ha alcuna possibilità di produrre cambiamenti nella società se si riduce solamente ad un insieme di persone che propongono esclusivamente soluzioni tecniche a problemi tecnici. I sistemi totalitari classici sono stati travolti dalla storia; emergono ora nuove insidie totalitarie che possono essere battute soltanto dall’affermazione delle identità fondate sui valori e sulle specificità culturali dei popoli. Secolarizzazione, materialismo pratico e relativismo etico sono le nuove forme di totalitarismo: prevedono un uomo unico, “l’uomo consumatore”. L’etica, invece, serve alla politica per fare della persona il cuore della società. L’origine della persona rimanda ad un principio etico-spirituale della vita, dunque non è semplicemente un essere biologico, ma dotato di un'anima e proiettato in una dimensione che supera le ristrettezze ed i confini della materialità. La politica deve credere nella persona. Il naturale completamento di ognuno risiede nella primaria forma di comunità storica: la famiglia, che nasce unicamente dall’incontro tra uomo e donna. Abbiamo poi dei corpi intermedi che con essa si raccordano fino ad arrivare alla nazione, che è la comunità più vasta nella quale si integrano gli interessi spirituali, morali e materiali di un popolo. Alain de Benoist, nel suo Le sfide della postmodernità afferma infatti che «i valori non sono oggetto di una scelta, né revocabili a volontà […] Nella concezione greco-cristiana l’io è anteriore ai fini che si dà e non è possibile concepire l’individuo al di fuori della sua comunità». Sembra una banalità, ma dopo la crisi delle ideologie che negavano radicalmente la nazione come comunità storicamente fondata, sono insorte forme contestative che tendono ugualmente a negare il concetto stesso di identità nazionale: il mondialismo, il pensiero unico, l’omologazione culturale.

4 gennaio 2011

A proposito di Cesare Battisti

....Ma Cesare Battisti non fu un patriota ? Nato a Trento il 1875-morto nel1916: cenni storici ricordano di lui che si dedicò, in Trentino e in Alto Adige, territori allora dell'Impero Austro-Ungarico, ad una intensa attività politica, conciliando gli ideali irredentisti e quelli socialisti.
Nel 1896 fondò il settimanale "L'avvenire del lavoratore". Si batté per la creazione di una università italiana a Trento. Nel 1911 fu eletto deputato al parlamento viennese. Nello stesso parlamento sostenne apertamente e con numerosi interventi l'impossibilità di una soluzione del problema trentino nel quadro dell'impero Asburgico. Scoppiato il primo conflitto mondiale, nel 1915 si arruolò in un reggimento di alpini in cui giunse al grado di capitano.
Fatto prigioniero dagli Austriaci, insieme a Fabio Filzi, sul monte Corno il 10 luglio 1916 fu riconosciuto, processato e in quanto cittadino austriaco condannato all'impiccagione, per tradimento, come disertore.
L'esecuzione ebbe luogo il 12 luglio 1916 nel castello del Buon Consiglio a Trento .

Ma oggi, anno 2011, balza ancora agli onori della cronaca, quasi a far sì che l'omonimo sia quello cui già titolammo scuole e vie, lo "scrittore" Cesare Battisti, "rifugiato politico" prima a Parigi dove era stato arrestato e dal Brasile oggi difeso e protetto da un pericoloso imbecille.
Ma cosa ha fatto di così onorevole il novello Cesare Battisti per essere al centro delle attenzioni internazionali, riassumiamo in breve la sua "storia", la sua vita che tanto interesse desta oggi occupando pagine sui giornali.
E' semplicemente un assassino, un volgare assassino al di là ed al di sopra delle motivazioni che in quegli anni di piombo portarono gruppi di persone appartenenti ad opposte fazioni politiche, le più estremamente opposte, a giustificare gli atti più efferati con la scusa della "rivoluzione". Ma quale è il concetto di rivoluzione e quale quello di rivoluzione armata? Difficile oggi rispondere, difficile farlo col senno del poi, rimane certa una condizione che diversifica i vari Battisti esuli-latitanti, dagli altri, meno noti, che hanno accettato la condanna che la giustizia ha imposto ed inferto e la stanno scontando o l'hanno scontata.
Improprio il confronto con Sofri che scrive e risponde da un carcere, mentre Battisti protetto dalla Francia giacobina prima e dal Brasile oggi lancia strali e parla all'Italia "borghese" come il peggior esponente di quella tanto esecrata "borghesia", dov'è lo spirito rivoluzionario, ammesso che egli ne conosca il significato?
Battisti è un borghese piccolo piccolo, scrittore "noir" attraverso quella mente criminale che è sua propria. Li scriva in galera i suoi libri, e forse li leggeremmo anche noi ......
Li leggeremmo, ma non come abbiamo letto e studiato i libri di Storia che ci hanno insegnato la figura di Cesare Battisti quello vero, ed è evidente che il confronto non regge, vorremmo tanto che i nostri figli e nipoti che continueranno a frequentare le scuole titolate a Cesare Battisti sappiano che è al primo che fanno riferimento, perché nella nostra epoca mass-mediatica tutto è il contrario di tutto, tutto è confusione... ed un caso di omonimia, rischia di confondere fatti e personaggi, rischia di mettere sullo stesso piano "normali" delinquenti con personaggi che hanno segnato la Storia d'Italia.

Dopo qualce mese di "silenzio tecnico", ho recuperato grazie a Blogger le mie credenziali e posso finalmente tornare ad aggiornare queste pagine. Ben ritrovati.

3 maggio 2010

Ritorno alla politica

È necessario chiedersi preliminarmente: a quale politica stiamo chiedendo ai cittadini di “ri-affezionarsi” ?
Non possiamo far altro che constatare come il distacco dei cittadini dalla politica sia causato in primis dallo smarrimento della politica stessa che non è più in grado di darsi dei punti di riferimento, e di conseguenza non può indicarne alla popolazione.
Questa concatenazione di fattori produce un disorientamento in cui non è più chiaro qual è l’orizzonte sul quale immaginare la costruzione del proprio avvenire. La realtà quotidiana ci dimostra infatti come l’interesse per la politica sia circoscritto e marginale, dal momento che i partiti spesso non agiscono nella società, ma soltanto al loro interno: sono forze autoreferenziali, segnate da lotte di potere che la gente percepisce con disgusto.
Dobbiamo oggi riaffermare la centralità della politica, ma per fare ciò dobbiamo dare di questa una nuova idea: fino a quando la politica sarà percepita dai cittadini come un arengo di disonesti che badano solo al proprio interesse o ai propri giochi di potere, fino a quando la politica rimarrà il luogo dell’incertezza e della confusione, fino a quando la politica sarà identificata con le campagne elettorali, nessuna attività di riaffermazione avrà successo. È necessario evitare che si affermi una politica senz’anima le cui avvisaglie si sono già abbondantemente manifestate, bisogna recuperare un protagonismo ed una responsabilizzazione dei soggetti, delle singole persone, delle famiglie e dei corpi intermedi. La nostra vuol essere un’azione volta a recuperare quell’entusiasmo e quella convinzione che, ormai da qualche tempo, stanno vacillando nel nostro mondo, riportando al centro dell’attività politica la forza delle idee e l’importanza dei principi e dei valori che le fondano. Bisogna che si ripensi una “cultura politica”: un partito non ha alcuna possibilità di produrre cambiamenti nella società se si riduce solamente ad un insieme, più o meno complicato, di persone che producono esclusivamente soluzioni tecniche a problemi tecnici.
Sentiamo l’esigenza di condurre una battaglia per la rimessa al centro dell’uomo, dell’etica, degli elementi strutturali che connotano una società civile e finalmente umanizzata. La politica deve guardare ai giovani, vedere in loro non degli strumenti passivi di partito, ma dei reali artefici della costruzione di quel rinnovamento del quale il Paese ha bisogno. Necessitiamo di una politica che stimoli i ragazzi, che si fidi di loro, che gli indichi la strada, ma che non abbia paura di vederli effettivamente camminare su questa via che è stata loro indicata.
Vogliamo una politica meritocratica, che faccia capire ai giovani che il lavoro paga sempre, che ad emergere sono le persone che si impegnano e che se lo meritano e non chi dalla politica pretende senza mai dare.

27 aprile 2010

Politica e Cultura

Quando scema il senso dell’appartenenza, dell’identità, delle radici, quando il sentimento di comunità si appanna in ragione delle esigenze egoistiche ed utilitaristiche, quando perfino una certa concezione etica della vita si assottiglia, c’è poco da sperare. Soltanto in una dimensione valoriale e culturale riconoscibile è possibile immaginare la restaurazione della politica. La crisi della politica stessa ha portato ad una società di consumatori al centro della quale vi è l’individuo in quanto consumatore sollecitato nell’ampliare i propri bisogni, e non la persona portatrice di valori. Le coscienze più vigili colgono nella decadenza le tracce di una barbarie dalla quale è sempre più difficile difendersi; oggi vi è il rifiuto del diritto naturale da parte di Parlamenti e Governi, anche a costo di snaturare l’identità dei popoli e delle nazioni. L’ideale moderno è fondato sul principio dell’irresponsabilità soggettiva e dell’arbitrio collettivo. I valori e la cultura devono perciò rappresentare le nostre bussole, in quanto nessun cambiamento è in grado di agire nel profondo se non è culturalmente motivato. La persona è il cuore della società: la sua origine rimanda ad un principio etico-spirituale della vita. L'uomo, fino a prova contraria, ha delle radici che non cambiano: il bisogno religioso, il bisogno di comunità; il bisogno di pensare ad alcuni principi di solidarietà e di identità collettiva, che non rincorra esclusivamente l’arricchimento o il successo personale e quindi materiale, ma la ricerca del primato dell’essere, il primato del trionfo della vita spirituale contrario ad ogni egoismo, ingiusto e sterile.

6 dicembre 2009

YOUTHTOPIA, che sorpresa da MTV...

Sono sempre stato un detrattore della MTV-generation, ma ammetto di essere stato piacevolmente colpito dai risultati dell'indagine condotta dal celebre network televisivo sui giovani europei. Proprio uno dei principali predicatori della demolizione dei principi etico morali dei giovani, si arrende davanti ad una generazione che sceglie impegno, onestà e famiglia.

Forse qualcosa sta cambiando nelle coscienze dei miei coetanei...


I GIOVANI EUROPEI VISTI DA MTV.

Una vita poco spericolata, apparentemente libera da dipendenze da alcol e droga. Con l’amicizia e l’onestà tra i valori al primo posto e - come esempio - il modello familiare tradizionale. È la fotografia dei giovani europei secondo la ricerca Youthtopia, condotta da Mtv International . L’indagine è stata realizzata tra aprile ed agosto 2009. Ha coinvolto 7000 persone tra 16 e 34 anni in 7 Paesi europei, Regno Unito, Germania, Italia, Olanda, Polonia, Grecia e Svezia.

Più conservatori:
La ricerca rileva che i giovani sembrano avere adottato un atteggiamento più conservatore su alcool e droghe rispetto alle generazioni precedenti. Inoltre ritengono che l’onestà sia un valore importante. Il 72% sceglie, condivide e rispetta il modello familiare tradizionale; mentre il 71% si considera non intruppato in etichette, libero quindi “di avere diritto a spostarsi da un gruppo all’altro e di controllare il proprio destino”.

L’etica del lavoro:
Il 72% dei 7000 giovani europei ha una grande opinione dell’etica del lavoro e “vede il fallimento come una conseguenza della pigrizia e dello scarso impegno”. Barack Obama è tra i personaggi più ammirati per la propria etica professionale. Inoltre, il 66% si sente outsider e ha l’aspirazione a fare grandi cose.

I nuovi comandamenti:
Mtv ha poi chiesto ai ragazzi di scrivere i “Dieci Comandamenti” e i “Sette Peccati Capitali” dell’età moderna. È subito emerso che, per tutti, i comandamenti sono più una lista di cose da “Fare” che da “Non fare”. E rispecchiano le loro tendenze: “Abbi fede in te stesso”, “Rispetta i tuoi genitori”, “Sii onesto”, “Lavora duro per arrivare al successo, ma non a discapito degli altri”, “Sii rispettoso delle differenze degli altri”, “Sii felice e ottimista, anche di fronte alle avversità”, “Crea, non distruggere”.

I “Peccati Capitali”:
I nuovi “Sette Peccati Capitali” sono invece razzismo, disonestà, bullismo, cupidigia, adulterio, rabbia, invidia.

16 novembre 2009

Daniela, Maometto e...

Possiamo discutere quanto vogliamo sulla durezza delle parole di Daniela Santanchè o sul fatto che forse lo stesso concetto poteva essere espresso diversamente (è stata lei stessa a dichiarare il giorno seguete che si trattava di una provocazione), ma di sicuro un certo perbenismo proprio del "politicamente corretto", che suggerisce prudenza ed ipocrisia in quantità industriali, crea più problemi di quanti vorrebbe risolverli ed è più preoccupante del fondamentalismo islamico o della Santanchè che perde le staffe. Ammiriamo il coraggio di Daniela, e capiamo la reazione di chi da quasi tre anni vive sotto scorta per aver aiutato donne islamiche a liberarsi dalle oppressioni del clan maschile, il coraggio di chi è stato condannato a morte in diretta televisiva, la reazione di chi è stata aggredita dalle stesse persone che una settimana dopo si sono fatte saltare in aria a Milano: io ero accanto a Lei e ho guardato negli occhi l’odio di quei musulmani… Insomma ben venga il coraggio di Daniela se chi è pacato non parla, sta zitto e lascia terreno al nemico...
Proprio in questi giorni mentre l’europa perde la sua identità culturale affidando alla sentenza di una corte il giudizio sulle proprie radici e sui propri simboli, l’esempio di Daniela dovrebbe far riflettere per la determinazione con cui difende e riafferma i principi fondanti del nostro continente.
N.B. Ricordiamo inoltre che la Santanché non è stata l’unica a definire pedofilo Maometto: vi sono precedenti illustri che guarda caso non hanno generato le stesse polemiche: niente poco di meno che Ayaan Hirsi Ali, in “Non Sottomessa” (Einaudi, con prefazione di Adriano Sofri) e in “Infedele” (Rizzoli); ma anche Bernard Lewis in “Semitismo e Antisemitismo” e Benny Morris in “Vittime”.